sabato 14 aprile 2007

Una paura chiamata straniero

Dialogo immaginario tra Cristoforo Colombo e Nicholas Chauvin, tra timori di colonizzazione e consapevolezza del bisogno di mantenere aperti i mercati
di Fabrizio Galimberti
da Il Sole 24 ore [venerdi 7 Aprile]


Tempi grassi per i fabbricanti di bandiere….Quanti si ammantano dell’italianità per non far passare lo straniero hanno oggi molte occasioni per temere e declamare. E per non passare per ingenui, in questi tempi di globalizzazione, fanno ricorso al più sofisticato armamentario dell”interesse nazionale”: gli argomenti più evoluti – il ruolo strategico delle reti, l’opportunità di mantenere nel territorio le “teste pensanti” di un’azienda – si mischiano alle antiche pulsioni, dal rifiuto di diventare “colonie” alla diffidenza atavica verso lo straniero. I casi Telecom e Alitalia fanno scuola. Ma cosa c’è di vero in questo neo-protezionismo? Lo chiediamo a due avventurieri di opposte scuole: Cristoforo Colombo (CC), che si lanciò verso l’ignoto, e il semi-mitico soldati e patriota Nicholas Chauvin (NC) che divenne simbolo di fervore nazionalistico. Se dal Quattrocento e dall’Ottocento, dopo un corso accelerato di trasporti e comunicazioni del XXI secolo, si dovessero chinare sulle frenesie di oggi, che cosa direbbero?

CC – Sua Cattolica Maestà mi pagava il viaggio per estendere i suoi domini, ma quel che a me interessava era l’avventura del nuovo: mettere assieme nuove terre, nuovi uomini, nuovi tramonti e nuove culture. Non avevo paura; avevo curiosità. Mentre voi, al solo pensare di vendere Telecom allo straniero – ad uno straniero che ho scoperto io e che ora attraversa l’Atlantico in senso inverso - avete paura e non avete curiosità.

NC – Non hai imparato la lezione? Voi avete colonizzato il Nuovo continente, e adesso quelli vogliono colonizzare il Vecchio La storia si ripete, ma noi non ci faremo sterminare come gli indiani.

CC – Caro Chauvin, mi vuoi spiegare esattamente di cosa hai paura? Fammi un esempio.

NC – Non c’è bisogno di andare lontano. Alza quell’aggeggio che chiamano telefono, e puoi parlare con il mondo. Una rete invisibile ma reale ti collega con i tuoi simili in ogni angolo della Terra. Sono i neuroni, le sinapsi, le nervature della tua vita sociale. Vivere è comunicare.

CC – Parli bene. Continua pure.

NC – Ho finito. Non sono stato chiaro? Tu daresti via i tuoi neuroni e le tue sinapsi? La rete è un bene strategico di interesse nazionale, deve rimanere sotto controllo.

CC – Veramente, i tuoi neuroni e le tue sinapsi mi sembrano infiammati da leggere paranoie. Di che hai paura? Pensi che i messicani vogliano impacchettar la rete e portarsela via? Che ti sfilano i cavi da trenta milioni di case e li mandano in Messico? Ci vorrebbero molte caravelle….

NC – Non importa, la mia casa è il mio chateau, e nessno ci deve entrare se non lo voglio io.

CC – Caro Chauvin, che tu esterni questi sentimenti non mi preoccupa molto. Dopotutto, si sa che tu sei chauvinista. Quel che mi preoccupa è che, in dosi minori, questo nazionalismo alligna in tanti altri e oscura il giudizio.

NC – Tu cerchi di rendermi ridicolo evocando lo spettro di una rete fisicamente portata via dall’Italia. Ma ci sono tanti modi di indebolirla senza portarla via. Basta non fare gli investimenti per modernizzarla.

CC – E perché, di grazia, gli stranieri non dovrebbero investire? Con reti più moderne c’è più traffico e più profitti. Chiunque sia nella stanza dei bottoni, vorrà comandare una società che risponde ai bisogni dei clienti e che fa utili. Se la regina Isabella avesse ragionato come te, non avrebbe mai affidato ad uno straniero – che sarei io – quella spedizione cruciale che mi portò in America.

NC – La tecnologia moderna è una cosa complicata, ci sono diverse velocità di trasmissione delle nuove tecniche da un paese all’altro, diversi ritmi nella riproduzione di filiere tecnologiche…gli stranieri potrebbero avere altre priorità rispetto all’interesse degli italiani.

CC - E gli italiani potrebbero avere altre priorità rispetto agli interessi di altri italiani. Ci sono dappertutto affiliazioni e alleanze più o meno coperte, impegni assunti e disattesi. Avevi detto che lo straniero potrebbe non fare investimenti. Ma mi risulta che, nel caso delle autostrade, i concessionari che non hanno fatto gli investimenti erano italiani e non stranieri.

NC – E infatti i sacri interessi della nazione richiedono che un bene fondamentale come la rete sia sotto controllo pubblico.

CC – Ma è già sotto controllo pubblico.

NC – No. Telecom è una società privata.

CC – Tu cadi nell’errore di quanti vedono nelle privatizzazioni l’impero del profitto che schiaccia l’interesse del popolo. Telecom è una società di servizi di pubblica utilità e in quanto tale è pubblica, nel senso che è sottoposta ad un’intensa regolazione da parte dei pubblici poteri. La proprietà è un accidente giuridico, la sostanza è una pesante intrusione dell’interesse pubblico nelle regole fondamentali della vita aziendale. Non mi sarebbe piaciuto capitanare la Telecom. Nelle mie caravelle avevo potere di vita e di morte sui miei marinai. Dalla tolda della Telecom non avrei potuto neanche cambiare una tariffa senza prima chiedere il permesso a qualche regolatore di Madrid.

NC - Mi riesce difficile farti capire i problemi, perché tu vedi gli alberi e non vedi la foresta. Avere gli stranieri in casa vuol dire qualcosa di più sottile e di più importante. Vuol dire spostare altrove le strategie e le scelte decisionali, spolpare le competenze manageriali e lasciar crescere solo il management dei piani bassi.

CC – Questa è la tua ultima difesa e mi convince ancor meno delle altre. Se siamo meno bravi degli stranieri, il loro arrivo è un’occasione per imparare. Se siamo bravi come loro, il loro arrivo è un’occasione per collaborare. E siamo più bravi, il loro arrivo è un’occasione per scavalcarli. In tutti e tre i casi, ci sono occasioni di far bene.

NC – L’identità nazionale rischia di perdersi, sfilacciandosi in mille meticciati. Preferisco essere padrone del mio destino.

CC – Da quel che ho visto, nessuno è più padrone del suo destino. Se uno straniero acquistasse la rete di distribuzione del gas in Italia, tanti griderebbero allo scandalo. Senza rendersi conto che la dipendenza c’è già. Se la Russia gira una chiavetta, il gas alla rete non arriva più. Ma non sono solo l’Italia e l’Europa a essere sotto ricatto. La Cina non mangia se gli altri Paesi non le mandano milioni di tonnellate di grano. L’America muore di freddo e le sue auto si fermano se non importa milioni di barili di petrolio. Nessun Paese ha veramente l’indipendenza energetica: anche quelli zeppi di petrolio possono mancare di raffinerie e devono importare benzina. Da questa situazione non si esce con la paura dello straniero. Si esce rifiutando la diffidenza e il ricatto e scegliendo invece le porte aperte e le vele spiegate dell’interdipendenza.